Dopo un luglio scoppiettante che ha coinvolto positivamente quasi tutte le asset class, il mese corrente registra notevoli divergenze e vede ampliarsi i gap
Banche centrali
Sul finire di agosto, come da tradizione, tra le montagne del Wyoming si è tenuto l’annuale simposio di Jackson Hole. L’obiettivo delle riunioni, reiterate da decenni, è quello di promuovere discussioni pubbliche su questioni di politica monetaria tenendo conto dell’evoluzione dei contesti socio e geopolitici. Quest’anno il meeting, intitolato Changing Market Structure and Implications for Monetary Policy, vede il debutto del presidente della Federal Reserve Jerome Powell, subentrato a febbraio a Janet Yellen. Anche questa edizione ha fatto molto parlare di sé, soprattutto per il tempismo: il simposio è infatti caduto appena dopo che lo S&P 500 ha segnato nuovi massimi assoluti. Il meeting si è aperto con una nuova consapevolezza: i mercati stanno vivendo il più longevo ed intenso rialzo della storia, con ben nove anni e mezzo in attivo senza draw down superiori al 20%.
Ci sono stati due grandi assenti, Mario Draghi ed il presidente della Bank of Japan Haruhiko Kuroda, ma del primo si è in ogni caso avvertita la presenza aleggiare nelle parole di Powell, che ha affermato la volontà di fare “tutto quello che serve” per fermare l’inflazione – o per fronteggiare un’eventuale nuova crisi -, procedendo in modo graduale con l’aumento dei tassi. Il progressivo rialzo del costo del denaro sarà una misura opportuna fintanto che la ripresa resterà solida. Al momento è ragionevole prevedere che la crescita economica continuerà e il Comitato di politica monetaria della Federal Reserve non ha mancato di citare due errori che si propone con forza di evitare in questo momento ancora delicato: il “muoversi troppo in fretta accorciando l’espansione” ed il “muoversi troppo lentamente rischiando un surriscaldamento destabilizzante“. Il governatore si è mostrato fiducioso, poiché “le riforme e i progressi del settore privato nell’ultimo decennio hanno aumentato di tanto la forza e la resilienza del sistema finanziario, con l’intento di ridurre le probabilità che choc finanziari inevitabili diventino crisi”.
Le parole del governatore rendono quasi certo che, nella riunione di fine settembre, la Fed incrementerà i tassi di un altro quarto di punto – portandoli tra il 2 e il 2,25% – ed è probabile un altro analogo aumento a dicembre. Secondo i programmi della Fed i rialzi dovrebbero continuare anche nel prossimo biennio fino ad arrivare tra il 3 e il 4%, ma la crescita rimarrà la conditio sine qua non. Se l’anno prossimo l’espansione dovesse rallentare – come paventato da alcuni analisti – l’aumento dei tassi verrà messo in stand by.
Dati macro
L’Area Euro non regala particolari emozioni, anche per scarsità di pubblicazioni rilevanti, tra le quali emerge solo l’indice dei prezzi al consumo, stabile al 2.1% ed in linea con le aspettative.
La Germania galleggia: lo ZEW finalmente migliora dopo quattro mesi di flessione, ma rimane in terreno negativo a -13.7 punti. Risultati positivi ed oltre le aspettative sull’indice IFO, sulla fiducia delle aziende in Germania. L’indicatore dei responsabili degli acquisti di servizi, che fornisce un segnale sullo stato di salute del comparto manifatturiero e sulla crescita della produzione in Germania, pur continuando ad indicare un’espansione, delude le stime.
Qualche segnale contrastante arriva anche dal Regno Unito, dove si mostrano deboli sia l’indice dei direttori degli acquisti del settore manifatturiero che quello dei servizi, così come alcuni dati su disoccupazione e salari. Bene invece la produzione ed il real estate.
Oltreoceano continuano a diminuire le scorte di petrolio greggio, e parallelamente il brent allunga. Riprende la discesa della disoccupazione (3.9%) ed il Pil batte ogni già rosea aspettativa a 4.2%. Lieve rallentamento dell’immobiliare, che si scarica e contribuisce ad allontanare i timori di una nuova bolla speculativa.
In Giappone il Pil ritorna in terreno positivo e più di quanto si immaginasse.
Ennesima delusione per la Repubblica del dragone: l’indice Caixin e la produzione industriale, pur senza gravosi capitomboli, deludono le aspettative.
Mercati azionari
Luglio ha regalato così tante soddisfazioni che per il mese successivo sarebbe stato davvero difficile reggere il confronto. Agosto si è rivelato un mese certo non tragico, ma con evidenti difficoltà. I listini mondiali si sono mossi in maniera disordinata, con circa metà dei mercati in positivo e l’altra in flessione, e con una dispersione dei risultati in aumento rispetto ai mesi precedenti.
I migliori registrano buone performance, e non generano stupore perché coincidono con le piazze che ci hanno abituati bene. In testa il solito Nasdaq, con +4.7%, positivo per il quinto mese consecutivo. Anche gli altri listini Usa avanzano, lo S&P 500 e il DJ Industrial registrano rispettivamente il +2.8 e +2.5%. Lo S&P 500, anche dopo Jackson Hole, ha continuato a generare nuovi massimi storici, l’ultimo nella seduta del 29 agosto a 2916.50 dollari, così come il Nasdaq 100 che ha invece aggiornato il record il 30 a 7691.10 dollari.
Risultano persistenti anche gli up-trend delle piazze scandinave, Stoccolma in testa con +3.48% ad agosto seguita da Helsinki (+2.9%) e Oslo (+2%). Con riferimento all’ultimo mese è però da specificare che i buoni risultati macinati da Svezia e Norvegia sono stati annullati dall’apprezzamento dell’euro nei confronti delle corone dei due Paesi.
Buona parte dei listini asiatici si muove in terreno positivo o comunque sono prossime alla parità. Encomio all’India con +3.43%, che al pari delle borse Usa continua a registrare nuovi massimi assoluti con una persistenza invidiabile. Si distingue invece la Cina, dove lo Shanghai Composite cede il 3.4% coerentemente con il trend di medio periodo.
Il Vecchio continente è spaccato, si differenzia infatti nettamente l’Europa continentale, in flessione contenuta – non oltre il 2% – dall’Europa mediterranea, con Milano maglia nera a -7%.
Tra gli indici principali annoveriamo ancora il RTS di Mosca, a -8% e che, come l’Italia, negli ultimi mesi evidenzia un aumento dell’ordine di grandezza delle variazioni mensili.
L’analisi settoriale conferma i soliti trend, con tecnologia, health care e beni di consumo secondari in testa alle classifiche, mentre si registra un ulteriore grave affondo per i metalli ed o minerali, anche preziosi. Dopo la correzione dello scorso mese l’immobiliare torna in positivo, con l’unica eccezione rappresentata dal real estate asiatico coerentemente con l’orientamento della crescita e dei dati macro. L’unica vera novità è rappresentata dall’exploit dell’agricoltura.
Corrono quindi ancora i settori ciclici – anche se per la tecnologia e health care potremmo parlare di trend strutturali dovuti a fattori demografici e sociologici che potrebbero reggere anche a recessioni globali – mentre flettono i beni rifugio, indizio di un’economia ancora orientata alla crescita nonostante l’aumento della volatilità e la maturità del ciclo suggeriscano prudenza.
Mercati obbligazionari
Anche sul debito si riflettono le stesse incertezze dell’azionario: diminuiscono le classi di attivi in espansione ed aumenta la dispersione delle variazioni. Coerentemente con l’impostazione dell’equity dal punto di vista geografico, avanzano gli asset high yield esposti al corporate Usa ed i convertibili su scala globale, anche con riferimento alla Cina, che ha beneficiato dell’apprezzamento dello Yuan. In generale indietreggia il debito legato ai Paesi emergenti, dove i governativi cedono più dei corporate, e si conferma il down trend dell’anno in corso, messo in dubbio dall’allungo dello scorso mese.
I bond dell’Area Euro si muovono quasi tutti in terreno negativo e le lunghe scadenze rappresentano un ulteriore fattore di debolezza.
Ovviamente, come sempre gli asset obbligazionari risultano particolarmente sensibili alle fluttuazioni del Forex, e si giustifica così il lampante apprezzamento dei bond esposti al franco svizzero, categoria che conquista l’oro sul podio degli obbligazionari. Il fanalino di coda è invece rappresentato dagli obbligazionari dell’America Latina, penalizzati dal crollo del real brasiliano.
Mercati valutari
La variazione su base mensile del cambio euro-dollaro, quasi nulla, potrebbe indurre a pensare ad una situazione particolarmente stabile, ma la cronaca racconta invece di un mese di fuoco che ha visto nella prima metà un forte apprezzamento del biglietto verde e successivamente un rally della moneta unica. Il braccio di ferro, dopo tanto divagare, ha riportato quindi il cambio in un’area di congestione tra 1.16 e 1.17. È da rilevare, però, che nel medio termine l’impostazione rimane ribassista, in accordo con la teoria economica che desidererebbe veder rafforzarsi la valuta che paga un tasso di interesse maggiore.
In generale si evidenzia un rafforzamento dell’euro nei confronti della maggior parte delle altre valute, mentre cede contro yen (-0.55%) e franco svizzero (-1.4%).
Oltre al già menzionato crollo del real brasiliano saltano all’occhio le dolorose cadute della lira turca e del rublo russo. La sterlina cede “solo” il 2% contro euro.
Commodities
Abbiamo già indicato il Brent, in deciso rialzo dalla metà del mese nonostante la prolungata perdita dei 74 dollari al barile avesse fatto presagire un ritorno sui 67 dollari. Si propone ora un nuovo obiettivo a 79 dollari, area di transito di un importante supporto dinamico, che potrebbe giustificare nuove prese di profitto.
Sull’oro si è recentemente registrato un rimbalzo nell’area dei 1160-1170 dollari l’oncia, livello privo di significato dal punto di vista tecnico e che comunque non nega la tendenza ribassista del metallo prezioso.
Il gas naturale sembra in equilibrio, e l’attenzione è puntata sul vero protagonista, l’alluminio, sotto i riflettori da quando si è iniziato a parlare di dazi. L’apprezzamento, cominciato però ben prima dell’elezione di Trump, pare frenato e siamo ora lontani dai massimi registrati in primavera, ma non si escludono ulteriori colpi di scena.
Monica F. Zerbinati
Ufficio Studi