Forse le difficoltà di giugno hanno permesso di ricaricare i mercati, che registrano buone performance sia sul fronte azionario che obbligazionario
Banche centrali
Banca Centrale Europea
Il 26 luglio correva il sesto anniversario del famoso “Whatever it takes”, in concomitanza con l’ultimo consiglio direttivo della Bce prima della pausa estiva. L’occasione è stata colta da Draghi per confermare la solidità della moneta unica e della ripresa dell’Area Euro, corroborata anche dal superamento della soglia psicologica del 2% sull’inflazione. Ciononostante il consiglio ha manifestato l’intenzione di mantenere inserito il “pilota automatico”: la politica monetaria rimarrà accomodante almeno per un altro anno.
Tra le possibili motivazioni potremmo osservare che quello del 2,1% è un dato puntuale, mentre la Banca centrale guarda alla proiezione dell’inflazione nel medio periodo, quella che si dovrebbe realizzare in condizioni monetarie meno favorevoli. Si tratta inoltre di un’inflazione “complessiva”, mentre Bruxelles considera quella “core”, depurata dai beni che presentano una forte volatilità di prezzo (tipicamente gli energetici e gli alimentari), che oscilla attorno all’1%.
Ad oggi si continua quindi a prevedere un restringimento degli acquisti di bond da 30 a 15 miliardi di euro al mese a partire da ottobre p.v. per poi concludere il programma a fine dicembre. Invariata anche la forward policy guidance sui tassi, che rimarranno immutati almeno fino all’estate 2019, e si conferma l’impegno a proseguire con il reinvestimento dei capitali rimborsati sui bond che giungono a scadenza “a lungo dopo la fine degli acquisti netti del Quantitative easing”.
Si tratta di una delle ultime dichiarazioni del presidente dell’Eurotower, che il prossimo anno concluderà il suo mandato.
Federal Reserve
Oltreoceano, stasera alle 20:00 ora italiana, la Federal Reserve svelerà quanto deciso sui tassi di interesse, questione che però non suscita particolare entusiasmo perché pare ci sia concordanza tra le opinioni degli analisti. Un ritocco oggi è considerato decisamente poco probabile, e si ritiene che il prossimo rialzo del costo del denaro si verificherà in occasione della riunione Fed del 25-26 settembre. Se così fosse, rimarranno solo altri due meeting per variare ancora i tassi di interesse prima della fine dell’anno: il 7-8 novembre ed il 18-19 dicembre. Ricordiamo che, a meno di correzioni in corsa, sono previsti altri due rialzi nel 2018 e tre nel 2019.
Bank of Japan
Dal Sol Levante arriva invece qualche novità. È vero che la Bank of Japan ha deciso di mantenere gli eccezionali stimoli monetari già in campo, ha cioè confermato i tassi a -0.1% e che si impegnerà affinché il rendimento sui decennali rimanga sullo 0%. È però anche vero che d’ora in poi i rendimenti potranno muoversi temporaneamente verso l’alto o il basso a seconda degli sviluppi nell’andamento dell’economia e dei prezzi. Quindi, pur mantenendo inalterato l’attuale ritmo di 80 trilioni di yen annuali di acquisti di titoli di stato, la BoJ permetterà che il tasso di rendimento oscilli fino allo 0,2%. L’obiettivo è quello di migliorare l’efficienza del mercato per poter proseguire con l’attuale stimolo monetario in modo sostenibile.
Dati macro
Nell’Eurozona le rilevazioni generano uno scenario contrastato: il tasso di disoccupazione, supposto stabile, migliora e conferma un trend virtuoso. La produzione industriale cresce oltre le stime, così come l’indice dei prezzi al consumo. Il Pil trimestrale ed annuale invece disattendono le previsioni e lo Zew delude per l’ennesima volta.
Negli Usa è la disoccupazione a scontentare, ma con un misero 4% c’è poco di cui lamentarsi. Buoni risultati invece sul fronte fiducia dei consumatori e indice di Philadelphia.
Frustranti i dati sull’economia cinese, che cresce “solo” del 6.7% su base annua, mentre si evidenzia un lieve rallentamento nella crescita della produzione industriale.
In Giappone il settore manifatturiero rallenta a favore di quello non manifatturiero.
Mercati azionari
Dopo un giugno difficile, il mese appena concluso ha consentito di recuperare il terreno perduto.
Il protagonista indiscusso è il Brasile, dove il Bovespa avanza di oltre il 12% in un mese. L’allungo non è sufficiente a riportare in verde la performance dell’anno corrente, minata da un crollo verticale tra metà maggio e metà giugno, ma è sufficiente per sperare in un recupero del trend virtuoso nato all’inizio del 2016. Il Paese lo scorso anno ha registrato un aumento del Pil legato all’agricoltura, settore primario dell’economia, del 7.6% grazie al raccolto record di alcuni prodotti come soia e mais. Le previsioni per il 2018 stimano un avanzamento del 3.4%, inferiore a quello precedente e minato da difficoltà legate perlopiù al mercato interno, ma i dati macro degli ultimi mesi sono positivi, soprattutto per quanto riguarda la disoccupazione e la produzione.
In pole position troviamo anche Thailandia e Svizzera, oltre ai soliti listini Usa. Anche l’Europa non delude: l’Euro Stoxx 50 avanza del 3.43%, Milano, Parigi e Francoforte si muovono in positivo con performance comprese tra il +1.5 ed il +4%. Da non sottovalutare le piazze scandinave, che continuano a macinare risultati importanti con determinazione e costanza.
Deboli invece Shanghai e Istanbul, con flessioni piuttosto pesanti.
L’analisi settoriale non rivela particolari novità. Farmaceutico, sanitario, tecnologie, biotech e finanza continuano a figurare tra i maggiormente performanti, così come ci si aspetterebbe alla luce delle dinamiche sociodemografiche strutturali e del ciclo economico. Come piacevole new entry si segnalano gli investimenti socialmente responsabili, per i quali non si esclude che la normativa favorevole possa aver giocato un certo ruolo.
In lieve rallentamento vediamo l’immobiliare, che ha però recentemente sovraperformato e quindi non si può escludere una presa di profitto.
Mercati obbligazionari
L’overview sui bond globali mette in luce una congiuntura particolarmente favorevole per il debito. Con riferimento al mese appena concluso, la quasi totalità delle asset class obbligazionarie si muove in terreno positivo, con poche eccezioni rappresentate perlopiù dagli attivi esposti alle valute in indebolimento come lo Yuan cinese. A correre troviamo i bond emessi in America Latina, trascinati dal Real brasiliano in apprezzamento. Dopo alcuni mesi di difficoltà a luglio il debito dei Paesi emergenti torna a generare buoni ritorni. Anche i bond high yield regalano diverse soddisfazioni, senza distinzioni di esposizione geografica.
In flessione, anche se contenuta, troviamo gli obbligazionari governativi a tutte le scadenze emessi negli Usa e nell’area euro.
Mercati valutari
Il cambio euro-dollaro sembra aver trovato una nuova zona di comfort con oscillazioni sempre più contenute attorno a 1.17, area del vertice di una figura triangolare che potrebbe completarsi in poche sedute.
La moneta unica avanza sulla sterlina, violando il canale discendente che conteneva il cambio da oltre un anno. Non sono però rilevabili trend strutturali, e se da una parte un aumento dei tassi da parte della BoE permetterebbe alla moneta inglese di riprendersi, dall’altra la crisi da Brexit la penalizzerebbe. La view sulla moneta di Sua Maestà è quindi decisamente incerta.
Le ultime settimane hanno visto anche un sensibile rafforzamento dell’euro contro yen giapponese, sul cui cambio si sta configurando un quadro tecnico particolarmente gradevole. È possibile infatti individuare tre diverse tendenze a seconda dell’orizzonte temporale: nel breve termine – con focus sull’estate – un chiaro andamento positivo; nel medio termine – con riferimento all’anno corrente – la tendenza è negativa; nell’ultimo biennio l’impostazione torna positiva. L’avanzamento della moneta unica ha portato il cambio attorno ai 130 yen, pronto a testare la trend line negativa di breve, che potrebbe quindi essere invalidata entro la settimana. D’altronde la decisione della BoJ di mantenere i tassi molto bassi e probabilmente molto a lungo suggerirebbe un ulteriore indebolimento della valuta del Sol Levante. Un’eventuale correzione incontrerebbe un livello di supporto chiave a 126.50, area di transito della trend line di lungo periodo e, contemporaneamente, di un supporto statico di notevole rilevanza.
Commodities
Il focus sul breve periodo evidenzia una situazione contrastata per il petrolio. Luglio è iniziato non lontano dagli 80 dollari al barile, area dei massimi dal novembre 2014, ma poco prima della metà del mese un crollo verticale ha riportato le quotazioni attorno ai 70 dollari, dove il supporto dinamico valido dalla scorsa estate ha retto e favorito un parziale recupero. Ad oggi l’impostazione rimane positiva almeno fino alla perdita dei 72 dollari. Bisogna però ricordare che le variabili che in via primaria impattano sul prezzo del petrolio continuano ad essere la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti e le tensioni in Iran, che potrebbero determinare una contrazione della produzione. In ottica prospettica la domanda di oro nero, stimolata dalla crescita globale nel medio termine e dall’industrializzazione dei Paesi emergenti in via strutturale, dovrebbe invece aumentare, con l’ovvio risultato di un’ulteriore incremento dei corsi.
Una breve riflessione: il principale obiettivo che si pongono le banche centrali mondiali si concretizza nel raggiungimento di un livello target di inflazione. Un allungo del petrolio, almeno dal punto di vista teorico, impatterebbe sui prezzi al consumo e dunque potrebbe spingere gli istituti ad accelerare nell’attuazione delle proprie politiche monetarie orientate al rialzo dei tassi di interesse.
Sempre più debole l’oro, che con la grave perdita dei 1230 nega l’up-trend nato con i minimi del 2015. Le quotazioni sono prossime ad un’area supportile di discreta rilevanza tra i 1209 e i 1200 dollari l’oncia, la cui eventuale perdita aprirebbe le porte ad ulteriori 50 dollari di correzione.
Monica Zerbinati
Ufficio Studi