G20, dazi, rialzo dei tassi e scandalo Facebook: un mese denso di eventi che fanno ballare i mercati
G20
Si è concluso il vertice di Buenos Aires tra i ministri delle Finanze e dai banchieri centrali dei paesi industrializzati del G20, che si mostrano preoccupati per la politica protezionistica di Trump e per la contrazione di liquidità in atto. Sono state spese parole anche in merito alle criptovalute, per le quali si profila la necessità di definire una specifica regolamentazione volta a contenere il rischi di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo, ma sarà prima necessaria un’attenta disamina della materia. Si è comunque fissata una prima scadenza nel mese di luglio, entro il quale verranno emanate raccomandazioni specifiche.
Dazi
Dopo quelli su pannelli solari e lavatrici, il 23 marzo le autorità Usa hanno iniziato ad imporre i dazi sull’acciaio importato (25%) e sull’alluminio (10%), e solo all’ultimo è stata resa nota la lista degli Stati esenti: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Messico, Unione Europea e Corea del Sud. Si tratta tuttavia di un provvedimento di esclusione temporanea, valido fino al 1° maggio, per cui i giochi rimangono aperti. Sono quindi sicuramente colpiti i tre maggiori esportatori di alluminio: Cina, Giappone e Russia.
Negli ultimi decenni lo sviluppo dell’industria siderurgica dei Paesi emergenti ha messo in croce quella occidentale, la cui produzione è oggi circa sui livelli degli anni ’70. I volumi di acciaio lavorato in Cina, India e Turchia sono invece più che decuplicati. In particolare, la sola Cina contribuisce a circa il 50% dell’acciaio grezzo mondiale, sostenuta anche dai finanziamenti pubblici che permettono di vendere (ed esportare) sottocosto, e dalla manipolazione del tasso di cambio. Lo scorso autunno l’Unione Europea ha approvato un sistema di dazi anti-dumping con lo scopo di tutelare l’industria siderurgica del vecchio continente dalla politica aggressiva del dragone.
Tuttavia, la manovra della Casa Bianca volta ad ottenere un commercio equo, più che libero, non colpisce solo l’acciaio cinese, perché il Paese non figura tra i principali importatori negli Usa. Buona parte del metallo trova altri canali per giungere oltre oceano, attraverso Paesi terzi; inoltre anche la Germania e la Turchia sono in prima linea tra i produttori della materia prima.
Federal Reserve
Mercoledì 21 marzo la Fed ha alzato i tassi di interesse: si tratta del sesto rialzo dei tassi dal dicembre 2015, che porta il corridoio del costo del denaro all’1,5-1,75% ( dall’1,25%-1,50%), come d’altronde ampiamente previsto dai mercati. La vera notizia riguarda però le approssimazioni sui tassi per il 2019: mentre per l’anno in corso sono ancora previsti due rialzi, per arrivare così a 2-2,25%, per l’anno prossimo la mediana delle stime raggiunge 2,75-3%, obiettivo di lungo periodo. L’ampliamento della stretta sarebbe legato alle migliori proiezioni di crescita, con il Pil che potrebbe concludere l’anno con un +2,7%, la disoccupazione ancora in calo e l’inflazione poco sopra l’obiettivo.
Dati macro
Come già accennato, occupazione ed inflazione Usa, ma anche i consumi nei mercati emergenti (Cina, Tailandia, Corea del Sud, Russia e Sud Africa) superano le stime.
Il Caixin Manufacturing PMI (un indicatore del settore manifatturiero cinese che si concentra sulle piccole e medie imprese) ha sovraperformato, e così anche le esportazioni e la produzione industriale. In Russia le vendite al dettaglio, i salari reali e dati sul reddito hanno evidenziato un buon vantaggio. In Sud Africa a superare le attese sono stati principalmente la produzione mineraria e il PIL.
Ma non sono tutte rose e fiori. Il Zew, l’indice di fiducia sull’economia tedesca a marzo è crollato sui minimi da settembre 2016, ben al di sotto delle previsioni. Sulla crescita prospettica pesano le preoccupazioni per un’eventuale guerra commerciale (successivamente e momentaneamente scongiurato), ma anche l’euro ha fatto la sua parte. Il rafforzamento della moneta unica potrebbe avere infatti ripercussioni su una nazione fortemente dipendente dalle esportazioni.
Mercati azionari
In linea generale l’impostazione degli asset azionari appare contrastata, in lieve flessione per il secondo mese consecutivo. L’anno era cominciato nel migliore dei modi, con un rally degno di nota. Il crollo della prima metà di febbraio era stato quasi totalmente recuperato, ma pur senza docce gelate, la flessione di marzo ha riportato i corsi sui minimi del mese precedente.
Sull’Euro Stoxx 50 le difficoltà degli ultimi giorni hanno causato la perdita di importanti livelli di supporto, ed ora l’area dei 3000-3100, in passato area di congestione, potrebbe rappresentare l’obiettivo delle prossime settimane.
Sui listini americani invece, per quanto violente possano essere state le correzioni, l’impostazione strutturale rimane crescente.
I mercati asiatici hanno patito particolarmente il subbuglio di questi primi mesi dell’anno. In particolare lo Shanghai Composite ha vissuto attimi di terrore in concomitanza con l’imposizione doganale Usa, invalidando il trend che accompagnava una crescita particolarmente ordinata dai minimi del 2016.
Mercati obbligazionari
Le difficoltà sui mercati azionari stanno regalando un po’ di sollievo agli asset obbligazionari, molti dei quali stanno viaggiando in terreno positivo. Anche le vicende sui mercati valutari hanno contribuito a disegnare le classifiche: risultano infatti eccellenti i risultati dei decennali governativi dell’area euro e gli obbligazionari esposti allo Yen ed alla sterlina inglese. I corsi sostenuti potrebbero rappresentare un livello interessante per alleggerire le proprie posizioni sulle scadenze lunghe.
Mercati valutari
Il biglietto verde sta tentando di rafforzarsi contro le principali valute per l’ennesima volta dall’inizio di quest’anno. Il cambio euro-dollaro, dopo il rally del 2017, pare voler invertire la tendenza, e l’eventuale perdurare dell’oscillazione nel canale 1,224/1,244 potrebbe presto invalidare l’impostazione di medio lungo periodo.
Commodities
Il petrolio, particolarmente legato alla produzione mondiale, ha risentito pesantemente del crollo di febbraio, per poi recuperare brillantemente. Non ha però superato il test dei 66 dollari al barile, massimo di periodo, che lo ha respinto sui 64 dollari. La situazione è contrastata: da un lato le scorte Usa, che stanno puntando sullo shale oil, salgono oltre le aspettative, dall’altro Opec e Russia confermano la volontà di stabilizzare gli accordi sui tagli alla produzione.
Per i metalli ed i minerali la congiuntura è (quasi) tragica. La spirale discendente travolge in particolare il carbone: molti progetti sono fermi, si riduce il numero di centrali costruite mentre si dismettono quelle più vecchie, perché il boom delle fonti rinnovabili a costi competitivi sta mettendo in difficoltà la generazione elettrica con i combustibili fossili.
Monica Zerbinati