Per i mercati, il 3° trimestre è stato un periodo ancora duro. Le perdite hanno coinvolto ogni genere di asset class, con poche ma ottime eccezioni. Cosa aspettarsi dalla fine dell’anno 2022?
Il terzo trimestre del 2022 si è rivelato un periodo duro per i mercati. Le perdite sono infatti diffuse e coinvolgono ogni genere di asset class, con poche ma ottime eccezioni, che però non sono sufficienti a salvare portafogli ben diversificati. Con le dovute semplificazioni, però, possiamo affermare che l’ultimo trimestre abbia visto un miglioramento rispetto ai periodi precedenti, pur collocandosi in un anno che si conferma difficile.
Commodity
Perlopiù deboli anche le commodity, nonostante vantino alcuni tra i protagonisti dell’anno, come il gas naturale (+25%) e il palladio (+14%). Pesanti invece le variazioni registrate su legname (-34%), avena (-24%), stagno (-23%) e petrolio (-22%), quest’ultimo raffreddato dalle vendite di scorte Usa che dovrebbe terminare il mese prossimo.
Listini azionari
La Turchia domina il ranking dei principali listini azionari, proseguendo lungo un trend di ampissimo respiro e che ha trovato nuovo slancio con la ripresa dei mercati post-covid. Nell’ultimo trimestre ottiene un notevole +32% in valuta, in parte consumato – per un investitore europeo – dalla contemporanea svalutazione della Lira turca del 3,6%. Salta all’occhio anche il guizzo del Brasile, che ribalza del 12% dopo le perdite del secondo trimestre. I mercati asiatici si dividono: alcune Borse, come quella indiana, indonesiana, di Bangkok e Singapore, chiudono il periodo sulla parità o poco più, mentre Cina, Taiwan e Hong Kong con perdite a doppia cifra.
Valute
L’euro risulta generalmente in flessione, in particolare nei confronti del dollaro Usa, verso il quale lascia sul terreno oltre il 6,5% nel trimestre, con il deprezzamento che da inizio anno raggiunge il -14%. Con yen e yuan il periodo si chiude attorno alla parità, ma nell’anno corrente le variazioni sono ancora corpose: +8% contro la valuta nipponica e -4% verso quella del dragone. È di circa il 2% l’allungo sulla sterlina inglese (+4,5% nel 2022) e sul rublo russo, il quale però è ancora in attivo del 30% nell’anno corrente.
Risparmio gestito
L’overview sul mondo del risparmio gestito denuncia uno scenario coerente con quanto già espresso. Tra gli indici azionari a specializzazione geografica corrono gli azionari Turchia (+30%, quasi +50% da inizio anno). Possiamo ancora apprezzare l’exploit dell’equity brasiliano (+16%). Si nota come le due categorie menzionate, pur accompagnate da volatilità tra più elevate del periodo (20-25%), allo stesso tempo registrano anche tra le perdite massime più contenute, che non superano l’8%. Timido recupero per gli Emoa (Europa, Medio Oriente e Africa), che avanzano di 300 punti base pur confermandosi la peggiore categoria dell’anno a -40%. A fare da fanalino di coda troviamo la Cina a -16%, che grazie alle A shares contiene le perdite a -13%.
Anche tra le categorie azionarie settoriali non troviamo grandi soddisfazioni, a parte il rimbalzo delle biotecnologie (+9%) e le energie alternative +6%, ma entrambe con volatilità elevate. Piacevole il +4% della finanza, che conferma invece una standard deviation contenuta e con perdite massime sotto il 10%. Il comparto più danneggiato è quello immobiliare, in rosso di quasi il 20% nel trimestre, del 40% da inizio anno e con indicatori di rischiosità tra i più allarmanti.
Nel mondo obbligazionario non mancano le occasioni di gain, ma un ruolo determinante è rivestito dalle dinamiche del forex: anche i titoli di debito, al pari di quelli azionari, sono in sofferenza. I comparti migliori in termini di rendimento sono quelli esposti al debito a stelle e strisce, con risultati che però sfiorano appena la variazione del tasso di cambio. Il debito in sterlina inglese, soprattutto governativo, chiude le classifiche con il pesante crollo della valuta, di circa 15 punti percentuali. Nel complesso è il debito statunitense a rappresentare la migliore occasione per l’investitore europeo, che può così beneficiare dell’aumento dei tassi operato della banca centrale di Powell: tra le varie specializzazioni, le più redditizie sono i convertibili – che darebbero modo di rientrare nell’azionario al suo recupero – gli high yield e le duration brevi.
Le dinamiche sono simili anche per il debito del Vecchio continente, che lascia per strada quasi l’8% con i governativi oltre i 10 anni. I fondi sui titoli europei con scadenze brevi, seppur negativi sia sul trimestre che da inizio anno, si posizionano più che dignitosamente nella classifica delle categorie obbligazionarie e si distinguono per livelli di rischiosità particolarmente contenuti.
Uno sguardo a fine 2022
Ora, nel pieno dell’ultimo trimestre, è naturale chiedersi cosa aspettarsi dal concludersi dell’anno, sempre più vicino. L’overview sui mercati non è certo ottimistica; ciononostante, alcuni archetipi che hanno contrassegnato l’ultimo decennio non sono in discussione: il ruolo della politica monetaria è ancora centrale e, oggi più che mai, legato a doppio filo alle dinamiche dell’inflazione. I dati macro sul costo della vita, non sempre limpidi e coerenti, continueranno a definire il timing dei rialzi dei tassi. Più che sulle commodity – che già presentavano tensioni – il conflitto armato potrebbe avere conseguenze sugli equilibri geopolitici globali, favorendo la corsa della Cina verso il primato di potenza mondiale. In questo scenario il Vecchio continente non gode di vedute confortanti: ad oggi inadeguata nel dare una soluzione unitaria alla crisi energetica e all’esplosione del costo della vita, nonchè manchevole di identità e coesione, è difficile che possa guadagnare la fiducia dei mercati internazionali. Volendo conferire al proprio portafoglio una quota crescente di asset extra-europei o di materie prime (denominate in dollari), le proiezioni circa un’ulteriore svalutazione dell’euro – avvalorate anche da un progetto di Europa sempre più lontano da raggiungere – potrebbero fornire un’ulteriore occasione di guadagno. Il timing è però determinante e potrebbe rendere necessaria la valutazione di una copertura del rischio di cambio.
Monica F. Zerbinati
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